Bethan Huws (Bangor 1961) è un’artista gallese che, dopo la formazione scolastica a Londra, vive tra Parigi e Berlino.
Il suo lavoro è fortemente influenzato dalle origini geografiche, dall’infanzia trascorsa in una fattoria e dal fatto che sua madre lingua sia il gallese, lingua celtica assai diversa dall’inglese, parlata da una ristretta minoranza.
La sua è arte concettuale che si inserisce nel percorso pioneristico avviato da Marcel Duchamp, tra i primi a utilizzare il linguaggio come elemento fondante della creazione artistica e i giochi di parole come tecniche non-sense per investigare affondo l’essenza stessa dell’oggetto d’arte.
L’idea della traducibilità delle diverse lingue così come un’educazione prettamente rurale sono il caposaldo del pensiero di Huws, che utilizza da sempre i mezzi più disparati per esprimere la propria personalissima visione del mondo.
La sua poetica investiga con costante arguzia e ironia, non disgiunte da una leggerezza tipicamente britannica, l’essenza stessa del fare arte. Nel tentativo di giungere alla natura primigenia di ogni manufatto, l’artista si interroga e ci interroga su quale sia la relazione tra oggetto e sua rappresentazione, tra arte e rapporti umani, imponendo nuovi livelli di riflessione.
Sin dai primi anni ‘90 Huws incorpora il linguaggio nella sua arte e utilizza il testo stesso in molteplici forme. Nascono nel 1999 le prime word vitrines, bacheche a fondo nero su cui si incastrano lettere in plastica tipiche dei vecchi uffici, alle quali si affiancano presto disegni, sculture, neon e, negli ultimi sette anni, film. Espressioni molteplici di un unico ripetuto interrogativo: cos’è l’Arte oggi?
La Galleria Vistamare inaugura il 15 marzo 2014 la sua prima mostra personale italiana.
Le opere in esposizione raccontano, nella diversità degli approcci utilizzati, come Bethan Huws, artista concettuale, sia in realtà difficilmente riconducibile a schemi rigidamente predefiniti. Maestra dei ready-made, sulla scia che fu di Duchamp così come di Piero Manzoni, guarda anche allo stupefacente lavoro intellettuale di Magritte.
In una delle vetrine in mostra, Untitled (Ceci n’est pas un miroir), 2006, la citazione magrittiana dell’opera The Treachery of Images del 1929, in cui l’artista belga dipinge una pipa dichiarando che quella che gli osservatori stanno guardando non è invece una pipa, è palese. Huws allo stesso modo gioca con il doppio senso del testo e con l’immagine riflessa dell’osservatore sul vetro della bacheca, che si guarda in una superficie simile allo specchio ma legge in essa che quello specchio non è. Così come nell’affermazione provocatoria del lavoro intitolato What’s the point of giving…?, 2006, l’artista si interroga sulla capacità del pubblico di comprendere l’arte, domandando a se stessa e agli osservatori quale veramente sia il valore artistico di un oggetto. L’arte come oggetto diviene arte come esperienza.
Alcuni degli acquerelli in mostra rappresentano appieno il concetto di pittura dell’Artista. Più disegni che dipinti, gli acquerelli di Huws rimandano a immagini quasi monocromatiche, realizzate con poche pennellate, in cui l’oggetto più che rendersi manifesto va intuito. Simili a geroglifici questi disegni evocano associazioni elementari, suggerendo i ricordi dell’infanzia rurale dell’Artista. Animali, piante, luoghi, rievocano gli umori del tempo infantile, come nel lavoro intitolato The Big Apple, 2008.
L’elemento scultoreo realizzato con il neon in Tour, 2007, richiama ancora una volta l’esempio duchampiano che ripensa, sempre in chiave ironica, l’oggetto quotidiano in chiave artistica. In particolare questo lavoro, che altro non è che un porta bottiglie, deve il suo titolo alla polisemica parola francese tour (rook in inglese) con cui si intende una pedina degli scacchi, la torre, in grado di muoversi su linee orizzontali e verticali così come l’espressione idiomatica francese faire un tour (fare un giro).
L’idea di film di Bethan Huws trova piena espressione in Fountain, 2009, in cui l’inesistente struttura narrativa è soppiantata dal carattere simbolico dell’esperienza. Epifania che disvela il tentativo, sensitivo e celebrale, di catturare l’essenza dell’arte. L’ultimo importante lavoro di Duchamp, Etant Donnés, è il nucleo di quest’opera che filma 49 fontane romane, in cui lo scorrere dell’acqua si mescola alla voce dell’Artista, che riflette sul significato mitologico e simbolico della fontana. Ancora una volta l’immagine che scorre sulla parete e il significato di quanto detto sembra non coincidere. L’osservatore è costretto nuovamente a interrogarsi, posto di fronte a un’arte che non cede ad alcuna seduzione estetica ma solo intellettuale.
Bethan Huws ha vinto il B.A.C.A. (Biennial Award for Contemporary Art), premio del Bonnefantenmuseum di Maastricht nel 2006 e partecipato alla Biennale di Venezia nel 2003. I suoi lavori appartengono alle principali collezioni museali incluse: The Tate Collection (London), Kunstmuseum Bern (Bern), Museum für Moderne Kunst (Frankfurt am Main), Kolumba Kunstmuseum (Cologne), Museum Ludwig (Cologne), Serralves Museum of Contemporary Art (Porto), Kaiser Wilhelm Museum (Krefeld), David Roberts Art Foundation: DRAF (London), Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art Moderne (Paris) and Kunstmuseum St. Gallen (St. Gallen).