Vistamare inaugura sabato 21 aprile alle 18.30 una personale di Linda Fregni Nagler.
Il lavoro della Nagler è una ricerca alle origini dello sguardo moderno e si concentra sul medium fotografico e la sua storia, attraverso una pratica che intreccia le caratteristiche del lavoro dell’artista, quelle dello studioso e del collezionista.
Da anni Linda Fregni Nagler raccoglie soggetti fotografici della cosiddetta ‘Scuola di Yokohama’, inauguratasi in epoca Meiji (1868-1912) in coincidenza con l’apertura delle frontiere e la modernizzazione del Giappone. La Yokohama Shashin, ovvero “Fotografia di Yokohama”, ebbe larga diffusione in Europa negli stessi anni in cui veniva prodotta. Le fotografie, la cui colorazione a mano richiedeva almeno una giornata di lavoro, erano vendute a viaggiatori facoltosi e assecondavano l’idea di esotismo incontaminato che essi avevano del Giappone. Molte fotografie della Yokohama Shashin, soprattutto quelle realizzate in studio, rappresentano delle messe in scena anacronistiche di un mondo che già andava scomparendo. Le lastre negative furono oggetto di scambio e commercio da parte dei vari fotografi, per questo motivo ancora oggi l’attribuzione di una fotografia a uno specifico autore resta un compito difficile. Il profondo interesse di Linda Fregni Nagler per questo genere fotografico nasce proprio sulla base di queste peculiarità: la messa in scena di un mondo in via di estinzione, la ripresa, tramite la fotografia, di una tradizione iconografica manuale, il carattere commerciale e non artistico di questa tipologia di immagini, la difficoltà di attribuzione delle singole fotografie; l’intervento manuale in una tecnica di riproduzione meccanica.
Il titolo della mostra, Hana to Yama (Fiori e montagna), si riferisce ai due nuclei di fotografie presentati, due soggetti che ricorrono nella Yokohama Shashin: i venditori ambulanti di fiori e le vedute del Fujiyama, appartenenti all’archivio che l’artista ha composto negli ultimi dieci anni. L’artista ha ri-fotografato gli originali in suo possesso, li ha stampati in camera oscura e li ha colorati a mano, dopo un lungo processo di ricerca e messa a punto di materiali e pigmenti che oggi possano essere paragonati a quelli della Yokohama Shashin. Nel suo studio si è, di fatto, messa in atto una catena di lavoro simile a quella degli studi giapponesi. La copia, in questo caso la riproduzione di un multiplo d’epoca, altro tema ricorrente nel lavoro di Linda Fregni Nagler, attiva uno sguardo diverso su un materiale considerato sinora principalmente dal punto di vista storico. Il primo nucleo in mostra è quello dei cosiddetti “Flower seller” (il titolo presente nelle didascalie originali è, non a caso, sempre in inglese), venditori ambulanti di fiori che attiravano l’attenzione dei viaggiatori occidentali con le piccole architetture portatili con le quali trasportavano i fiori. Nel celebre Japan: described and illustrated by the Japanese, (1897), Francis Brinkley descrive i “flower seller” come “veritable walking bouquets.” Il secondo nucleo di fotografie in mostra è composto da un ampio numero di vedute del Fujiyama. Si tratta di fotografie per lo più anonime, scattate dai punti privilegiati per la vista della montagna. L’artista ha riunito fotografie in cui lo spazio dello scatto è, con tutta evidenza, lo stesso – lo stesso luogo, lo stesso soggetto fotografato – ma enigmatico e insondabile il tempo: potrebbero essere diversi momenti della stessa giornata come a mesi o anni di distanza. Il lavoro emblematico della serie è Fuji from Otometoge, un’opera composta da 10 fotografie del monte Fuji, ritratto dallo stesso privilegiato luogo. Il sofisticato quanto artificioso tentativo originario di restituire realismo grazie alla colorazione delle fotografie, nelle opere di Linda Fregni Nagler si svela grazie a campiture uniformi di colore, piccoli prelievi o parti lasciate in bianco e nero, ispirate alle campionature del restauro, che svelano la scala di grigi della fotografia sottostante.
Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976) vive e lavora a Milano. Si è laureata nel 2000 all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Nel 2004 ha conseguito il diploma in Visual Arts alla Fondazione Ratti di Como, con Jimmie Durham. Nel 2006 ha frequentato, diplomandosi, il corso Cinematographic Photography alla Escuela International de Cine y Television a San Antonio de Los Baños a Cuba. Nel 2013 ha partecipato alla 55esima Biennale di Venezia “Il Palazzo Enciclopedico”, curata da Massimiliano Gioni. Nel 2015 ha messo in atto la performance Things That Death Cannot Destroy (part 7), al Moderna Museet di Stoccolma. Nel 2007 ha ricevuto il New York Prize. Nel 2008 ha vinto la residenza presso il Dena Foundation di Parigi e nel 2014 la International Residence at Iaspis, Stoccolma, infine il Premio Acacia nel 2016. Cura nel 2017, assieme a Cristiano Raimondi, la mostra “Hercule Florence – Le Nouveau Robinson” al Nouveau Musée National de Monaco.