Vistamare è lieta di presentare Ours to keep, la prima mostra personale di Maria Loboda nella sede della galleria a Pescara. La mostra indaga una serie di concetti intriganti, tra cui il possesso e la ricerca di desideri sfuggenti. Nel lavoro di Loboda il linguaggio e la comunicazione giocano un ruolo importante. I titoli delle opere e delle mostre sono scelti con attenzione e aiutano il visitatore a decifrare la complessità della narrazione creata dall’artista.
“Cerco sempre di costruire la mostra intorno ad una storia breve – un haiku per così dire – in modo che le opere interagiscano e stiano le une accanto alle altre”.
È come se l’artista fosse intenta a scrivere e riscrivere delle storie straordinarie, per poi manipolarle, distorcerle o renderle disfunzionali affinché possano prendere vita. Nelle sue opere Loboda utilizza un vocabolario singolare che attinge da un’ampia gamma di influenze culturali, dall’antichità ai nostri giorni.
La mostra include installazioni site specific e nuove opere create appositamente per gli spazi, oltre a opere fotografiche precedentemente presentate al Ujazdowski Castle Centre for Contemporary Art a Varsavia, in occasione della sua prima mostra in Polonia nel 2019.
Queste fotografie ritraggono una persona che guarda le pagine di un catalogo sotto le lenzuola con l’aiuto di una torcia. Questo piacere clandestino diventa quasi un atto sensuale, solo che in questo scenario l’oggetto del desiderio non è una rivista erotica, ma un catalogo museale di ceramiche reali coreane celadon. La distintiva tonalità verde pallido delle ceramiche celadon era considerata colore della trascendenza, quasi impossibile da descrivere o da riprodurre. Il titolo Sleeping with Gods allude alle qualità sublimi della ceramica celadon. Queste ceramiche erano tenute in grande considerazione nelle corti imperiali perché si riteneva avessero proprietà mistiche, come la capacità di proteggere chi le guardava: il loro smalto diventava più scuro o si frantumava a contatto con il cibo avvelenato.
Bruce Chatwin, di cui Loboda è un’ammiratrice, ha iniziato la sua carriera come scrittore di testi per cataloghi in una casa d’aste. I suoi scritti hanno dato il via all’interesse dell’artista per il linguaggio della catalogazione, descrittivo e seducente al tempo stesso. Questo linguaggio specifico è utilizzato per creare un’immagine vivida dell’oggetto nella mente del lettore che non può vederlo di persona. L’artista si confronta con questa capacità di suscitare attrazione collocando oggetti da osservare a distanza all’interno di stanze inaccessibili.
L’artista si confronta con questa capacità di suscitare attrazione utilizzando un approccio museologico tradizionale, quello delle Period rooms (stanze d’epoca) e dei Diorami. Progettati per essere visti attraverso un vetro protettivo, questi allestimenti presentano spesso una rappresentazione accuratamente messa in scena di un’epoca passata. La versione ad hoc di Loboda per questa mostra offre un’interpretazione minimale degli elaborati interni dei musei, si concentra su un solo oggetto enigmatico e attira la nostra attenzione chiedendoci rispettosamente di osservarlo da lontano.
Dopo aver appreso che lo spazio della galleria era stato in precedenza un negozio di antiquariato, l’artista ha utilizzato vecchi mobili come parte dell’installazione, accostandoli a nuove sculture in vetro a forma di serpente, “The Fanciers”. Queste enigmatiche figure sono come guardiani di piccoli elementi ordinari che trasformano in inafferrabili manufatti preziosi (Objets de Vertu). I serpenti incarnano il duplice ruolo di custodi e creatori delle nostre fascinazioni.

Maria Loboda (1979, Cracovia, Polonia) compone installazioni e sculture che indagano codici culturali, segni pittorici e la grammatica di svariati materiali e oggetti. Le sue opere includono rimandi ad inesauribili depositi culturali: storia, poesia, arte, filosofia, letteratura, antropologia, linguistica, scienza, folklore e alchimia, nonché vari aspetti della spiritualità e della trascendenza in senso più ampio. La sua ricerca nasce da questi ambiti e si traduce in un’equazione formale tra linguaggio e materialità. Attraverso la decostruzione e la riorganizzazione di oggetti e simboli trovati, Loboda è diventata una voce unica in quella che potrebbe essere definita una archeologia contemporanea, che crea interpretazioni e associazioni completamente nuove a partire dalla riorganizzazione di segni e dal riutilizzo di antichi simboli. La sua ampia attività espositiva comprende la 58a Biennale di Venezia (2019), la Biennale di Taipei (2014) e documenta 13 (2012). Tra le mostre personali: Senckenberg Museum for Natural History, Francoforte (2023), Schirn Kunsthalle, Francoforte sul Meno (2018/19), Ujazdowski Castle Centre for Contemporary Art, Varsavia (2019), Kunsthalle Basel (2017), Institut d’art contemporain, Villeurbanne (2017), The Power Plant, Toronto (2016) e Reina Sofia, Madrid (2013). È la prima beneficiaria della borsa di studio Otilie Röderstein del Ministero dell’Istruzione dell’Assia nel 2022. Loboda vive e lavora a Cracovia e Berlino.